giovedì 27 agosto 2009

Alpe Veglia, i pascoli risparmiati dalla diga [Rass.Stampa]

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LE NOSTRE VALLI
27/8/2009 - IL VIAGGIO
Alpe Veglia, i pascoli
risparmiati dalla diga
Negli Anni 60 era stato progettato un invaso nella conca

TERESIO VALSESIA
Una bellezza sferica, smaltata di praterie e di conifere, e incastonata fra grandi cime. Su tutte domina il Monte Leone (3553 m), il «tetto» delle Lepontine, orlato da una cornice di ghiaccio sempre più esile. Al centro del circuito svetta il Rebbio (3192 m). Sul fronte opposto, ecco la Punta di Boccareccio, anch’essa sopra i 3000, e le solitarie Torri di Veglia, dall’aerea sagoma dolomitica. Montagne che hanno avuto un grande protagonista del passato, la guida Vittorio Roggia, seguito negli ultimi decenni da ottimi epigoni.

Gli alpeggi secolari e gli alberghetti sono riuniti prudentemente in piccoli e composti agglomerati, al riparo dalle valanghe e dalle alluvioni. Si sacrificava la «privacy» per favorire lo spazio vitale, rappresentato dalla fame d’erba dei pascoli.

Negli anni ’60 l’alpe Veglia doveva essere cancellata per diventare un enorme invaso idroelettrico. Tramontato quel progetto, nel 1978 è diventata il primo parco regionale del Piemonte, sostenuto soprattutto da Italia Nostra e dal Lions Club di Verbania. Un parco naturale che, come in passato, è raggiungibile soltanto a piedi poiché la gippabile che sale da San Domenico, dai tornanti ripidi e arditi, è strettamente riservata agli autorizzati e serve da collegamento circolare per tutti gli abitati dell’alpe. Recentemente messa in sicurezza e costantemente monitorata, costituisce anche la via dei pedoni, che nella parte finale diventa pianeggiante, quasi a ridare conforto e respiro per entrare in serenità nel paradiso.

Così Veglia ha conservato quasi miracolosamente l’atmosfera «d’antan». Merce rara, oggi. Un valore aggiunto che meriterebbe una maggiore frequentazione, che invece è rimasta circoscritta al turismo casereccio e lombardo, oltre che agli escursionisti-buongustai che arrivano dalla Svizzeri e dalla Germania, sempre sagaci nella scelta degli itinerari ideali, dove la natura è ancora quella genuina. La stagione è quindi ridotta ai mesi estivi e di inizio autunno. Tanto di cappello agli operatori turistici che non demordono nonostante le difficoltà.

Per raggiungere Veglia bisogna seguire la superstrada ossolana da Gravellona Toce fino a Varzo. Poi una decina di chilometri di comoda salita portano ai 1410 metri di San Domenico, stazione estiva e invernale, che offre numerose e comode passeggiate fra le pinete, come quella che porta al rifugio Piero Crosta, all’alpe Solcio, che è diventato una godibile meta anche per i gastronomi.

L’itinerario che proponiamo per arrivare a Veglia è circolare: salita da San Domenico all’alpe Ciamporino, traversata a Veglia, discesa lungo la gippabile. Però questa estate la seggiovia San Domenico-Ciamporino è chiusa. Bisogna quindi aggiungere un’ora e mezza che porta la camminata a oltre 4 ore complessive. Ma la fatica sarà ampiamente ricompensata.

Dalla stazione di arrivo della seggiovia di Ciamporino (1975 m) inizia il «Sentiero dei fiori». Lungo l’itinerario sono frequenti anche gli incontri con camosci e marmotte, mentre gli stambecchi popolano le creste superiori.

Il percorso avvolge il costone della montagna vincendo qualche asperità, con le necessarie protezioni, ma soprattutto annunciando panorami sempre più grandiosi. Una croce di legno, poco oltre una sorgente, è il punto più elevato della traversata, a 2046 metri di quota. In alto incombono le Torri di Veglia mentre di fronte si staglia il Monte Leone, un autentico gigante.

Si cammina sui pascoli d’alta quota, che scendono ai maestosi tetti in sasso della Balma, l’alpeggio che introduce nel vasto pianoro, dove c’è da scegliere fra tre alberghetti e il rifugio Città di Arona. Da Ciamporino sono meno di due ore di cammino.



«Quest’anno gli alpeggi in attività sono sette, uno in più nell’anno scorso», dicono con soddisfazione Severino Orio e Marco Zanola, presidente e segretario del Consorzio per il miglioramento dell’alpe Veglia, costituito nel 1969. Oltre duecento capi di bestiame pascolano sui prati che beneficiano di un progetto di valorizzazione integrata, attuato dal parco. Agricoltura e turismo: il binomio è pienamente attuato anche a beneficio dei turisti che trovano i prodotti caseari freschi di fattura, tra cui l’eccellente ricotta affumicata di Cornù.

C’è anche una sorgente carbonico-ferruginosa sulla cui efficace terapia è stato pubblicato un volumetto alla fine dell’Ottocento, ristampato in anastatica dal Consorzio. A quei tempi Veglia era onorata dalla definizione di «stazione climatica d’altezza». L’acqua conserva le sue qualità ed è a disposizione di tutti.

Nella «Locanda della Sorgente» una poesia dedicata alla «bricolla» ricorda i tempi del contrabbando: in effetti il confine con la Svizzera è segnato dalle creste che ci circondano e attraversando l’altopiano per avviarci verso la discesa intersechiamo, mille metri sotto di noi, gli avveniristici convogli del «Cisalpino» che sfrecciano nella galleria ferroviaria del Sempione.

Dove l’altopiano termina nella cupa e fragorosa gola del Cairasca c’è uno degli uffici informativi del parco regionale, la cui sede amministrativa è a Varzo, nella villa Gentinetta, (tel. 0324- 72572, info@parcovegliadevero.it). Poco più di un’ora di cammino portano a Ponte Campo (parcheggio delle auto). Per completare la giornata rimane ancora la breve risalita a San Domenico.