giovedì 16 luglio 2009

Discesa dall’Alpe Veglia [Rass.Stampa]

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Discesa dall’Alpe Veglia

Mancava poco alla vetta quando vidi quell’arco di ghiaccio. Un gioco misterioso della natura, un’architettura quasi perfetta.
Il cumulo di neve rimasto sul pendio era stato scavato con tenacia dall’acqua che sgorgava da sopra. Si era formata una cupola di qualche metro di diametro, un luogo di culto per il Dio della natura.
Usciva aria gelida e refrigerante da quello spazio. Una parte della cupola era sopra, a sinistra, in mezzo scorreva l’acqua del torrente che si buttava nella seconda parte della struttura di neve, a destra. Ci sedemmo di fianco, in silenzio. Aspettando qualcosa, un pensiero più profondo. L’ombra dell’Alpe Veglia si stava già allungando su di noi.
Salimmo a passo più veloce ancora per un po’. Trovammo una piccola fonte con un boccale in acciaio legato ad una catena, per abbeverarsi. Qualche sorso di freschezza scese giù rapido. Di fianco c’era una croce nera a ricordare un caduto sul lavoro, proprio in quel punto affacciato sulla bellezza.
“Quanto manca alla vetta?” chiesi ad un camminatore che aveva l’aria di conoscere quel posto meglio di me. “Saranno ancora venti minuti, ma se non siete attrezzati per passare in quota la notte è meglio se incominciate a scendere”. Non mi sbagliavo: conosceva quella montagna e ci diede un buon consiglio per evitare brutte sorprese.
Sfiorammo la cima, non arrivammo in vetta: ma è importante capire quando è giusto fermarsi. E così invertimmo la direzione, passando a ritroso i punti panoramici e speciali che avevamo già vissuto.
Mi tolsi ancora le scarpe e le calze al ruscello. Decisi di non rimetterle, di camminare fino in fondo scalzo: non è certo quello che un buon trekker dovrebbe fare, ma la sensazione del contatto con la terra mi attraeva troppo. Accumulai forza ed energia.
Circa a metà un gregge di capre ci sbarrò la strada. Passammo in mezzo guardinghi, loro ci guardarono sorprese. Sembravano più abituate di noi alla presenza dell’uomo, che noi a quella di animali liberi.
C’era una capra eccezionale: con un ciuffo nero che le spuntava in mezzo alle corna, sembrava la rockstar del gruppo. Si issò su un masso e diede il consenso al nostro passaggio. Al suo cenno le altre ci fecero strada.
Mancava poco a terra quando mi voltai a guardare l’arco di ghiaccio che scintillò, lambito dal soffio del tramonto. (2. fine)


Le vette dell’Alpe Veglia © Fabio Castano

Discesa dall’Alpe Veglia - foto : Le vette dell’Alpe Veglia © Fabio Castano



giovedì 9 luglio 2009

[Rass.Stampa] Salita all’Alpe Veglia

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Salita all’Alpe Veglia

Il cielo faceva l’occhiolino: le nubi in movimento si mettevano davanti al cerchio solare e ne oscuravano la luce. Dopo poco i raggi vincevano di nuovo. Luce, ombra, luce: sembrava quasi il ritmo dei tuoi passi, mentre iniziavi la salita dell’Alpe Veglia.
In località San Domenico, un paesino amato dagli sciatori, ti sei fermato a mangiare polenta e cervo coccolato dall’aria frizzante del mezzogiorno di montagna.
Dopo un Genepy verde per aiutare la digestione ti sei lasciato andare al rilassamento che solo gli spazi immensi di montagna sanno concedere.
Hai percorso un tratto di strada per arrivare ai piedi del tuo obiettivo. Scalare l’Alpe Veglia a piedi, assaporare ogni passo messo su quella terra ricca, grezza, ogni tanto ostile. Osservi il contorno del monte da giù: ti sembra di percepire un alone d’oro e viola che lo contorna.
Ogni sguardo attento e concentrato può vedere l’energia millenaria che si sprigiona dalle montagne. Quella stessa energia che vivrai salendo, che ti farà stare bene.
Ti sembra di rivedere il primo passo lento che hai fatto. L’inizio della scalata. Di risentire il campanaccio delle mucche che ruminavano ad inizio salita, e ti guardavano con quegli occhi buoni. Ti sembra di riprovare tutto questo anche qui, mentre stai scrivendo nel caldo umido della tua stanza.
E allora vai, continui, non ti fermi più. Ti capita più di una volta di girare in un tornante stretto e di piombare in una bellezza così acuta che sembra un urlo. L’infinito naturale che si apre innanzi ha solo i limiti della percezione umana: ma senti benissimo che se lo guardi con l’anima non ne ha.
Tocchi una parete rocciosa con le dita. L’acqua ci cade sopra, lenta, da un tempo che con la mente non riesci nemmeno a immaginare. Ti sembra molle. Il liquido è penetrato nelle molecole della roccia fino ad allontanarle. Provi refrigerio. Giù dal pendio, su un’altra montagna, cadono diverse cascate e rivoli d’acqua.
C’è n’è uno poco più avanti che interrompe la tua via. Togli le scarpe e le calze: vuoi provare ad attraversare il piccolo corso senza. Immergi i piedi e senti un freddo intenso che brucia. Ma la pelle si abitua subito. Ci rimani dentro per qualche istante, finché riesci.
La vetta sembra più vicina da lì. Ci arriverai? Cerchi in cielo la risposta e quello continua a strizzarti l’occhio. Sembra un segno: per questo prosegui senza timore. (1. continua)

[segue su "Discesa dall’Alpe Veglia"]


Panorama dall’Alpe Veglia © Mari Gonzalez
Salita all’Alpe Veglia - foto : Panorama dall’Alpe Veglia © Mari Gonzalez